Morta Maria nel 1402, Martino I detto "il Giovane" contrasse nuove nozze con la giovanissima principessa Bianca, figlia del re di Navarra. Ora, dovendo egli partire in guerra per la Sardegna, nominò la propria sposa "vicaria" del regno di Sicilia. Il suo viaggio, però, fu senza ritorno poiché in Sardegna vi morì. Bianca, rimasta vedova, fu confermata "vicaria" anche dal suocero Martino "il Vecchio", re d'Aragona, succeduto al figlio, morto senza eredi, quale re di Sicilia. Appena un anno dopo però, nel 1410, veniva a mancare pure questi, e la regina Bianca si trovava così a dover gestire, da sola, una complessa situazione politica in quanto, essendo entrambi i Martino deceduti senza lasciare altri eredi, i feudatari isolani cercarono di ribellarsi per avere maggiore autonomia e non dover così rendere conto alcuno alla corona aragonese. Bianca, tuttavia, riuscì a ricompattare le forze fedeli alla monarchia e, con la sua corte itinerante, attraversò in lungo e in largo la Sicilia più volte. Ed in questo suo itinerare venne anche a Randazzo dove entrò, con tutti gli onori, il 3 giugno 1411, come ella stessa fece scrivere dal suo segretario in una missiva diretta al capitano di giustizia e ai giurati della città di Palermo: "... hodie intrammu feliciter in quista terra, di randazu undi fommu richiputi et ascuntrati
cum solemni festa et alligrizia da tucti universaliter...". Da Randazzo, la Regina Bianca inviò pure ulteriori lettere alle autorità di Messina e di altre città siciliane, manifestando la necessità di convocare un Parlamento Generale Siciliano Con l'istituzione del Viceregno, la Sicilia divenne una provincia spagnola, e Randazzo, che aveva vissuto il glorioso periodo del regno aragonese, subì anch'essa quel grigio succedersi di avvenimenti che caratterizzarono in maniera negativa la storia dell'Isola durante la dominazione spagnola, con ingiuste spoliazioni ed infinite vessazioni fiscali. Per tutelarsi da eccessive prepotenze, abusi e soprusi viceregi, e per garantirsi dalle fin troppe trappole arbitrariamente messe in atto dai vari Vicerè onde ricavare quante più entrate possibili, la nostra città si dotò di un proprio "corpus iuris", le "Consuetudini", che, inserite nei "Capitoli del Regno di Sicilia", costituirono un vero e proprio ordinamento giuridico che tutti, autorità e popolo, dovettero riconoscere e rispettare. Esse, costituite da ben 58 articoli, regolavano tutti gli aspetti vitali dell'antica città demaniale. Richieste dalla Magistratura cittadina il 6 giugno 1466, furono controfirmate dal vicerè Lopez Ximenez d'Urrea il 26 ottobre dello stesso anno ed entrarono in vigore immediatamente. Massimo esponente della dominazione spagnola, ed ultimo dei regnanti che Randazzo ebbe l'onore di ospitare nel suo antico Palazzo Reale, il 18 ottobre 1535, fu l'imperatore Carlo V. Avvenimento, questo, di cui esiste testimonianza documentaria. La città tributò al triste e biondo imperatore sui cui possedimenti non tramontava mai il sole - come amava egli ripetere spesso - grandiose accoglienze, con "fonti plini di aqua rossa et certi archi triumphali..." che
fecero rivivere per alcuni giorni i fastosi e memorabili tempi aragonesi. Il sindaco gli offrì le chiavi della città su un cuscino ricamato in oro e l'imperatore fu così colpito dalla bellezza della cittadina e dal caloroso benvenuto, che le conferì il titolo di "Civitas Randatii". |