Gli Arabi rimasero in Sicilia per circa tre secoli, fino a quando i Normanni, al seguito del Gran Conte Ruggero, tra il 1061 e il 1091 riuscirono a sconfiggerli e a cacciarli fuori dall'Isola. Quando i Normanni giunsero a Randazzo, un altro gruppo etnico del Nord Italia, i Lombardi, si unirono alle precedenti popolazioni, ma non si amalgamarono con esse. Risulta, infatti, secondo le testimonianze degli storici dell'epoca, che ogni gruppo etnico si stabilì in un quartiere diverso: i Greci nel quartiere centrale di San Nicola, i Latini in quello orientale di Santa Maria e i Lombardi in quello occidentale di San Martino. Ogni gruppo avrebbe parlato la propria lingua sino al secolo XVI, come viene testimoniato dallo storico castiglionese Filoteo degli Omodei. Una leggenda narra che prima della sua spedizione per conquistare Taormina, il normanno Gran Conte Ruggero fu ospitato nel convento femminile di Santa Maria Maddalena, allora dotato, come tutti i monasteri, di un'apposita sezione chiamata "foresteria". L'accoglienza delle monache fu così calorosa che il condottiero normanno lasciò loro in custodia l'immagine di San Giorgio, il suo santo protettore. Dopo la conquista di Taormina, prima di tornare a Troina, sua abituale residenza, Ruggero si fermò nuovamente a Randazzo per riprendere il quadro di San Giorgio. Rimasero tutti attoniti quando non si riuscì a staccare il quadro dal muro. Il Gran Conte, commosso da questo fatto miracoloso, regalò il quadro alle Benedettine che, da quel giorno, cambiarono persino il nome al loro monastero da "Santa Maria Maddalena" a quello di "San Giorgio": così, infatti, si chiama ancora oggi la piazza in cui si trovava e si trova l'ex convento, in procinto di essere restaurato. Nel secolo XIII la città ebbe un proprio esercito che lottò in favore dei re normanni contro i vari signori ribelli. Poi, una volta estintasi la dinastia normanna, sotto i re svevi, soprattutto con Federico II, Randazzo godette di un periodo di magnificenza e di grande benessere tanto che nel 1210 l'imperatore e la moglie Costanza d'Aragona vi si rifugiarono per sfuggire alla terribile peste che imperversava a Palermo. Molti fattori come il clima salubre, il bel paesaggio, il caloroso benvenuto, una vita sociale attiva, convinsero Federico a fare della Città una grande roccaforte di difesa. Dopo la morte di Federico II di Svevia, avvenuta il 13 dicembre 1250, nel governo dell'Isola subentrarono gli Angioini: fu un periodo breve ed infelice, caratterizzato da imposizioni e persecuzioni. Quando gli Angioini furono cacciati via (con i Vespri Siciliani del 1282), iniziò per Randazzo un nuovo periodo di gloria. Re Pietro III d'Aragona, divenuto Pietro I di Sicilia, venne a Randazzo e si accampò con il suo esercito in una località poco distante da Randazzo, conosciuta ancora oggi come "Campo Re". E certamente non fu a caso che Pietro d'Aragona, dopo aver diramato l'ordine di raduno a tutte le città del Regno, le invitò a raccogliersi a Randazzo, prescelta come suo campo d'armi nelle operazioni militari contro gli odiati Angioini. Fece restaurare le mura di cinta e le porte della città, fra le quali Porta San Martino e Porta Aragonese (quella vicina a San Giuliano) al di sopra della quale fece apporre, ancora oggi esistenti e ben visibili, lo stemma suo, quello della moglie Costanza di Svevia, e quello di Randazzo. Poiché era un uomo molto pio (gli storici municipali ricordano che il re andava quotidianamente nella chiesetta di Santo Stefano, posta proprio di fronte al Palazzo Reale, per assistere alla Santa Messa), Pietro regalò alla chiesa di Santa Maria una pisside e un calice d'oro tempestato d'argento e smalti, che ancora fanno parte del tesoro della basilica, alla chiesa di San Nicola un calice d'argento dorato e a quella di S. Martino una grande croce d'argento dorato oltre ad una pisside. All'interno della sopra citata basilica di Santa Maria si possono ancora oggi ammirare due antiche misure aragonesi: l'orcio, per i liquidi, e il moggio, per i cereali. Alla morte di Pietro d'Aragona, avvenuta nel 1285, la successione al regno di Sicilia spettò al secondogenito Giacomo il quale, generoso e riconoscente nei confronti della città che ebbe ad ospitarlo nel 1286, con pubblico diploma definì Randazzo "terra prelibata". E certamente il significato non può avere solo riferimento all'ospitalità ricevuta, bensì a quanto i randazzesi avevano saputo offrire alla casa d'Aragona dalla Guerra del Vespro in poi. Quando, nel 1291, in Aragona morì il primogenito di Pietro, Alfonso, a succedergli fu il fratello Giacomo che lasciò all'altro suo fratello, Federico, terzogenito di Pietro e Costanza, la reggenza dell'Isola, avendo in animo di cederla agli Angioini pur di non avere molestie da parte loro nel Regno d'Aragona. Ma ai siciliani, che già ben conoscevano le angherie francesi, questi giochi di potere e accordi sottobanco non piacevano. Determinarono perciò, in un Parlamento Generale convocato a Catania, che sovrano di Sicilia sarebbe stato Federico d'Aragona il quale, di conseguenza, in quella stessa seduta veniva proclamato "Re di Sicilia". Incoronato a Palermo il 25 marzo 1296, il giovane sovrano, nel suo viaggio verso Messina lungo la trazzera regia, ricevette proprio qui a Randazzo il giuramento di fedeltà dei Magistrati locali, confermando ancora una volta la nostra città come "demaniale", sottraendola di fatto, così come aveva ordinato alcuni decenni prima il grande Federico II, ai feudatari e rendendola direttamente dipendente dal sovrano, proprio per premiare la lealtà della nostra città alla corona reale. Anche nel 1300, allorquando Messina per mesi venne presa d'assalto dalle truppe angioine, il buono e virtuoso Federico scrisse un'altra pagina gloriosa per la città, ponendovi il suo quartiere generale. Federico, infatti, fece restaurare il Palazzo Reale e con decreto del 10 febbraio 1303 decise di stabilire la sua corte a Randazzo per quattro mesi all'anno: fu, questo, un periodo di magnificenza e di ricchezza. Periodo in cui, per potere accogliere i tanti ospiti che facevano ala alla corte reale, si dovettero necessariamente costruire nuove case e sontuosi palazzi: il centro storico si riempì completamente e la città divenne una tra le più popolose dell'Isola dopo Palermo e Messina. E re Federico, per mostrarle ancora di più la sua riconoscenza, concesse al figlio Guglielmo, che nacque proprio in questa città nel 1312, il titolo trasmissibile di "Duca di Randazzo", titolo che tutti i re siciliani, sino all'Unità d'Italia, riservarono d'allora in poi ai loro primogeniti. La nostra città ebbe anche il privilegio di poter esercitare il "Mero e Misto Imperio", cosa che caratterizzò per tanto tempo la vita di Randazzo e dei dodici Casali da essa dipendenti: Spanò, Carcaci, Floresta, Pulichello, Cattaino, Bolo, San Teodoro, Chisarò, Cuttò, Santa Lucia, Maniace e
Bronte. Esercitarlo significò avere la più ampia giurisdizione tanto in campo penale quanto in quello civile: potere che, dalla dominazione normanna in poi, fu prerogativa esclusiva dell'autorità regia. Privilegio, questo del "Mero e Misto Imperio", che fu riconfermato alla nostra Città da re Ludovico, con diploma datato in Taormina il 6 dicembre 1348, e che perdurò sino al 1818, quando nel Regno di Sicilia vennero abolite le sedi dei Capitani Giustizieri. Nel corso del secolo XIV, nonostante atti di ribellione e rivolte da parte di potenti famiglie feudatarie siciliane, Randazzo mantenne un ruolo fondamentale nella storia dell'isola: basti pensare che il Parlamento Siciliano fu convocato e si adunò per ben quattro volte nella chiesa di San Nicolò. Morto Federico d'Aragona nel 1337, i suoi successori continuarono la tradizionale venuta di ogni estate a Randazzo: qui venne, infatti, Pietro II con la regina Elisabetta e vi crebbe il re Ludovico sotto la tutela dello zio Duca Giovanni amministratore del Regno. Anche sotto il regno di Ludovico la regia corte mantenne le sue più vive attenzioni per Randazzo. Alla di lui morte, avvenuta nel 1355, gli succedette il figlio Federico sino al 1377, anno in cui pure questi transitò ad altra vita lasciando il regno alla propria figlia Maria che, dopo il matrimonio celebrato nel 1391, associò al trono il giovane marito Martino d'Aragona, il quale assunse il nome di Martino I di Sicilia. |